lunedì 14 marzo 2011

La via italiana dell'energia nucleare

Il terribile terremoto in Giappone dimostra oggettivamente l'insicurezza dei reattori nucleari tradizionali, quelli che utilizzano il metodo della 'fissione' nucleare. L'Italia e' immune da simili rischi in forza di un referendum popolare che ebbe, nel 1987, un esito plebiscitario, imponendo la chiusura delle nostre centrali.
Ribadisco quello che capirebbe chiunque: abbiamo la grande opportunità di investire sul nucleare pulito, trasformando in rara forza la nostra apparente debolezza data dall'assenza di reattori nucleari sul nostro territorio. Possiamo provare, abbandonando la nostalgica scelta della realizzazione dei vecchi reattori di terza generazione, ad arrivare per primi al mondo sulla frontiera del nucleare pulito. Questo primato darebbe all'Italia una forza strategica economica e geopolitica.
Le grandi aziende del settore lavorino dunque su questo senza timidezza, la politica dia questo input, sconfiggendo quei 'ricopioni' che vogliono mettere l'Italia in coda a Francia e Stati Uniti.
Creiamo quindi la via italiana al nucleare pulito con un grande sforzo scientifico e industriale e con un sodalizio bipartisan delle forze politiche su questa prospettiva, stanando anche i rifiuti talebani di chi dice di essere contro la fissione nucleare, ma, in realtà, si appresta a essere contrario anche al nucleare pulito.

Donne, basta retorica inutile, passiamo ai fatti

Per evitare di essere frainteso voglio dire subito che se fossi una donna scenderei in piazza. Lo farei come succedeva trent'anni fa e non solo per protestare contro gli stupri. Oggi lo farei per non farmi prendere in giro.
Se siamo tutti d'accordo sul fatto che esiste un ritardo culturale che non valorizza adeguatamente la donna e le sue specifiche esigenze non si capisce perché tutto rimanga come prima. L'intervento del governo sul quoziente familiare andrebbe calendarizzato con precisione e invece non si riesce a capire se e quando si farà. Non ci sono convincenti politiche a sostegno della maternità e si è costretti a constatare che 1/3 delle donne rinuncia al lavoro dopo il primo figlio e il 50% dopo il secondo. Nella stragrande maggioranza dei governi locali le donne non ci sono o sono presenti con numeri ridicoli, inserite per questioni di marketing, più che per rispettarne la dignità e il ruolo nella società. Infine ci sono ancora il 90% di società partecipate o di enti e agenzie pubbliche che non hanno nei Cda o nel management interno una sola donna. Eppure di professioniste, imprenditrici, docenti universitarie, manager, ce ne sono a decine di migliaia. 
Il punto centrale della rappresentatività femminile non è soltanto quantitativo, ma anche qualitativo: una donna non valorizzata dalle Istituzioni, non considerata dalla politica, estromessa dalla gestione delle aziende pubbliche e private non è considerata una persona, ma una seccatura o direttamente un "oggetto". A questo fattore culturale, a mio giudizio, si legano episodi di mobbing, stalking, maltrattamenti, violenze e stupri, nonché il fenomeno delle mancate denunce da parte delle vittime. Sarebbe più difficile commettere violenza su persone che vengono considerate strategiche nel loro ruolo sociale e culturale. La politica ha oggi gli strumenti per dare risposte concrete, la smetta quindi di fare demagogia indicendo manifestazioni.